Il "giustificazionismo" non ha nulla a che vedere con il negazionismo, sebbene alcune violente polemiche suscitate, soprattutto in Germania, dalla pubblicazione di testi "revisionisti" abbiano suggerito una contiguità tra questi ultimi e i testi negazionisti. Mentre le posizioni negazioniste sono il frutto del patetico tentativo di isolati neonazisti o di accorti antisemiti che, come scrive Valentina Pisanty, si autoassegnano il compito «di anestetizzare il trauma della Shoah per mantenere viva la diffidenza contro gli ebrei» [Pisanty, 1998, p. 251], vi è una corrente "seria" della storiografia contemporanea che ha cercato di collocare gli eventi accaduti durante la seconda guerra mondiale in una prospettiva per molti versi "nuova". È bene osservare che il termine "revisionisti" utilizzato in senso critico o addirittura dispregiativo per indicare questi storici è, a giudizio dell'autore, inadeguato. Ogni storiografia è per definizione "revisionista", nel senso che se non fossero necessarie periodiche "revisioni" dei giudizi storiografici non vi sarebbe alcun bisogno degli storici. È invece normale che lo scorrere del tempo e degli accadimenti modifichi, talvolta in modo radicale, la visione che in un periodo precedente si aveva di una certa epoca storica. Ciò è quanto cercano di fare gli storici cosiddetti "revisionisti" che hanno studiato soprattutto i regimi fascisti europei degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Per quanto riguarda questi storici, è possibile dissentire su taluni aspetti del loro lavoro e anche dissentire sulla loro impostazione interpretativa di fondo, ma in ogni caso si tratta di interpretazioni che cercano di misurarsi con i dati di fatto, quindi meritano di essere presi seriamente in considerazione.
Il più importante esponente del cosiddetto "revisionismo" è senza dubbio lo storico tedesco Ernst Nolte, che abbiamo già citato tra gli intenzionalisti. Egli è autore di una discussa ricostruzione storica della prima metà del Novecento, durante la quale, secondo lui, si sarebbe svolta una vera e propria "guerra civile europea". Studiando il problema dal punto di vista delle rappresentazioni mentali, Nolte cercò di accreditare una tesi da molti contestata, secondo la quale il nazionalsocialismo nel suo insieme sarebbe stato, nell'immaginario della borghesia tedesca, una sorta di "controrivoluzione preventiva". La borghesia tedesca, preoccupata della possibilità di uno sbocco rivoluzionario di tipo sovietico (e alla luce degli esiti della rivoluzione sovietica in Russia) avrebbe trovato nel regime nazionalsocialista un antidoto efficace, utilizzato come una sorta di "reazione preventiva". Questa tesi, che di per sé potrebbe anche essere corretta, diventa, per molti, inaccettabile quando Nolte passa ad analizzare la mentalità nazionalsocialista, soprattutto in relazione agli aspetti repressivi e sanguinari del regime. Lo storico, infatti, sostiene la tesi che, combattendo una vera e propria "guerra civile" contro il bolscevismo, i nazionalsocialisti avrebbero finito per fare propri i metodi di lotta del'avversario. Posto che in URSS il sistema dei campi di concentramento (il Gulag) venne creato già nel corso degli anni Venti, i nazionalsocialisti negli anni Trenta avrebbero imitato e a fatto proprio un modo di procedere tipicamente sovietico, costruendo il proprio sistema concentrazionario come risposta speculare al sistema concentrazionario dell'URSS. Già in questa lettura del fenomeno è evidente l'intenzione di attenuare le responsabilità morali del nazionalsocialismo, presentando il fenomeno della repressione come una semplice reazione imitativa. Ma ciò che è più discusso, nelle posizioni di Nolte, è il modo in cui lo storico cerca di spiegare lo sterminio degli ebrei d'Europa. Dichiarando sempre di voler comprendere il modo di pensare dei nazionalsocialisti (non di volerne giustificare le azioni), Nolte evidenzia come all'origine dell'antisemitismo nazista vi fosse la tradizionale equazione tra bolscevismo ed ebraismo. Prendendo per buona questa equazione, i nazisti (e, di riflesso, l'opinione pubblica tedesca) avrebbero concepito la lotta anti-ebraica come una sorta di autodifesa, come una vera e propria guerra contro il "complotto ebraico mondiale", la cui posta sarebbe stata la distruzione della civiltà germanica.
Questa interpretazione, che - è bene ribadirlo nuovamente - non ha nulla a che vedere con il negazionismo propriamente detto e che rientra tra le legittime possibilità dell'interpretazione storiografica, presenta almeno due nodi problematici molto seri:
- Sebbene non neghi che la distruzione degli ebrei d'Europa sia avvenuta, quella di Nolte appare come una tesi implicitamente "giustificazionista", che cerca di razionalizzare il senso del modo di agire dei nazionalsocialisti e finisce inevitabilmente per attenuarne la responsabilità.
Se, infatti, la lotta antisemita è stata vissuta dai nazisti e più in generale dai tedeschi come una guerra difensiva, è evidente che l'ipotesi stessa di una "colpevolezza" è destinata a cadere. In una guerra, naturalmente, la distruzione del nemico appare non solo del tutto giustificata, ma altresì razionalmente comprensibile e persino necessaria.
- Interperetato come una normale strategia di distruzione del nemico, il genocidio antisemita rientra nella "normalità" della storia, non molto diverso dai tanti episodi che hanno insanguinato la storia dell'umanità, come i Gulag sovietici, il genocidio delle popolazioni autoctone dell'America, oppure lo sterminio dei Sassoni ordinato da Carlo Magno.
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