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LE INTERPRETAZIONI NEGAZIONISTE. |
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È bene premettere che la scheda sulle interpretazioni "negazioniste" è per l'autore la più difficile da scrivere, poiché il negazionismo gli appare, per certi aspetti, più ripugnante dello sterminio degli ebrei nel suo insieme. La ripugnanza non nasce, di per sé, da un giudizio politico, ma piuttosto da un giudizio storiografico e morale. Uno storico degno di questo nome prende atto della documentazione esistente a proposito del fenomeno che intende studiare e, a partire da questa, contestualizza e interpreta il fenomeno stesso. Nel caso del "negazionismo", i suoi fautori partono evidentemente da un rovesciamento dell'approccio: avendo necessità di negare in modo aprioristico (e pregiudiziale) che lo sterminio degli ebrei sia avvenuto, cercano o di contestualizzare i dati in modo tale da farli apparire irrilevanti1, o addirittura di negare l'esistenza dei dati stessi. La cosiddetta "storiografia" negazionista nacque in Francia nell'immediato dopoguerra, quando Maurice Bardèche, ex-collaborazionista dei tedeschi e dichiaratamente fascista, pubblicò un opuscolo dal titolo Nuremberg ou la terre promise [Norimberga o la terra promessa, 1948], nel quale, riprendendo le medesime tesi sostenute a suo tempo da Hitler, l'autore sosteneva che la responsabilità del conflitto non andava imputata ai tedeschi, bensì agli Alleati e agli ebrei. Bardèche sosteneva che i campi di sterminio sarebbero una mera invenzione propagandistica, un espediente ideato dalla propaganda alleata per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale dagli autentici crimini commessi dai vincitori della guerra: il bombardamento di Dresda e delle altre città tedesche, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Secondo questo autore non sarebbero mai esistiti campi di sterminio, ma soltanto campi di concentramento, nei quali effettivamente la mortalità sarebbe stata alta, ma solo in conseguenza della cattiva alimentazione e delle condizioni igieniche generali. Sempre nel 1948, negli Stati Uniti venne pubblicato Imperium, un libro di Francis Parker Yockey. Anche qui ritroviamo una tesi di fondo molto simile a quella di Bardèche, ovvero che il genocidio sia stata una menzogna inventata dagli ebrei con l'intenzione di generare una guerra totale contro la civilizzazione occidentale. Yockey, che ragiona sull'intera questione in modo evidentemente pregiudiziale, sostiene che la mistificazione dipenderebbe dal fatto che «L'Ebreo è spiritualmente logorato. Non può più evolversi. Non è in grado di produrre nulla nella sfera del pensiero o della ricerca. Vive esclusivamente per vendicarsi contro le nazioni della razza bianca europeo-americana». Come si può facilmente osservare, non si tratta di constatazioni storiografiche in qualche modo fondate sulla documentazione, ma di semplici asserzioni ideologiche, peraltro grossolanamente auto-contraddittorie: perché mai, infatti, gli ebrei dovrebbero «vendicarsi contro le nazioni della razza bianca europeo-americana»? Il primo negazionista che ha cercato quanto meno di leggere le fonti storiche è David L. Hoggan, autore di un libro dal titolo The Myth of the Six Million [Il mito dei sei milioni, 1969]. Lo scopo principale dell'autore era quello di confutare le testimonianze rese ai tribunali militari internazionali da parte di Rudolf Höss e di Kurt Gerstein, ambedue implicati nell'organizzazione dello sterminio. Quelle testimonianze, sosteneva Hoggan, erano state estorte dagli inquisitori alleati, quindi non potevano avere valore di prova che quanto testimoniato fosse realmente accaduto. Naturalmente Hoggan non si limitava a questo: nel suo libro, sosteneva che i veri responsabili dello scoppio della guerra mondiale fossero stati gli inglesi e i polacchi. A proposito dell'antisemitismo nazista, infine, questo autore riteneva che le discriminazioni degli ebrei fossero realmente avvenute in Germania sino al 1938, mentre ciò che accadde durante la guerra fu il risultato dell'antisemitismo polacco. Si noti come in questo tipo di argomentazioni, anch'esse parzialmente auto-contraddittorie, la strategia argomentativa che tende a delinearsi è duplice: per un verso, si cerca di delegittimare il materiale documentario (le testimonianze scritte rese da Höss e da Gerstein), o quanto meno di sminuirne l'importanza; dall'altro (per la mole di documentazione che non è smentibile), si cerca di spostare le responsabilità su soggetti diversi dai nazionalsocialisti tedeschi (ad esempio sui polacchi, che effettivamente avevano ed hanno tuttora una certa fama - posto che la "fama" sia attendibile - di violenti antisemiti). Chi, negli Stati Uniti, ha contribuito in modo decisivo ad attribuire sistematicità al negazionismo è stato Austin J. App, che nel 1973 formulò gli otto assiomi che ancora oggi costituiscono i principi-guida dell'Institute for Historical Review, che coordina le attività dei principali negazionisti. Gli assiomi sono i seguenti:
Si noti come l'insieme degli assiomi (al di là, appunto, del loro carattere assiomatico2) sia tale da permettere di confutare qualunque contro-confutazione. Lo stile di "ragionamento" è: gli ebrei non sono mai stati sistematicamente uccisi; se anche lo fossero stati, non ci sono le prove materiali per imputare ai tedeschi di averlo fatto. Comunque sia, l'onere di dimostrare che il genocidio è avvenuto spetta a chi sostiene che sia accaduto. In questo modo, la tesi "negazionista" viene resa impermeabile a qualunque tentativo di dimostrarne la falsità, anche perché a fronte delle poche prove materiali (fotografie scattate al momento della liberazione dei campi, riprese filmate girate nella stessa occasione, fotografie e riprese filmate effettuate da soldati tedeschi e ritrovate anche a decenni di distanza dai fatti) i negazionisti hanno sempre negato il valore di prove: essendo materiali prodotti dalla controparte (cioé dagli eserciti alleati), questi signori hanno sempre avuto buon gioco nel sostenere che fossero materiali manipolati. |
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