1944:

Fotografia scattata clandestinamente dall'interno del Krematorium V ad Auschwitz da un membro del Sonderkommando (forse un ebreo greco di nome Axel), che ritrae la cremazione dei corpi in una fossa a cielo aperto. L'immagine, insieme ad altre due, venne fatta pervenire al movimento di resistenza di Cracovia, tramite Józef Cyrankiewicz e Stanislaw Klodzinski, prigionieri polacchi della resistenza interna al campo.

Fonte: J.C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, 1989, p. 422.

Soprattutto tra l'estate del 1943 e la prima metà del 1944, quando giunsero nei Vernichtungslager centinaia di migliaia di enrei deportati dal ghetto di Varsavia e poi gli ebrei ungheresi, le enormi capacità di smaltimento dei cadaveri dei forni crematori risultarono insufficienti. Per fare fronte alle necessità del momento, vennero quindi approntate delle fosse di combustione molto rudimentali, nelle quali i cadaveri, cosparsi di benzina, bruciavano all'aria aperta, proprio in prossimità dell'entrata del campo.
Lo scrittore Elie Wiesel, che nel 1944 venne deportato ad Auschwitz dalla Transilvania, e che ebbe la fortuna, malgrado la giovane età, di essere selezionato per il lavoro, descrive in questo modo il suo primo impatto con il campo di concentramento:

Non lontano da noi delle fiamme salivano da una fossa, delle fiamme gigantesche. Vi si bruciava qualche cosa. Un autocarro si avvicinò e scaricò il suo carico: erano dei bambini. Dei neonati! Si, l'avevo visto, l'avevo visto con i miei occhi.... Dei bambini nelle fiamme. (C'è dunque da stupirsi se da quel giorno il sonno fuggì i miei occhi?). [...]
Ecco dunque dove andavamo. Un po' più avanti avremmo trovato un'altra fossa, più grande, per adulti.
Io mi pizzicai la faccia: ero ancora vivo? Ero sveglio? Non riuscivo a crederci. Com'era possibile che si bruciassero degli uomini, dei bambini, e che il mondo tacesse? No, tutto ciò non poteva essere vero. Un incubo... Presto mi sarei svegliato di soprassalto, con il cuore in tumulto, e avrei ritrovato la mia stanza, i miei libri... [Wiesel (1980), p.38].





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